Nel mondo del web3 si sente sempre più spesso parlare ‘bridging’ ovvero collegare, tramite un ponte, il mondo dei Brands (retail e web2), con quello del web3.
Ma che vuol dire esattamente? E quali opportunità per i Mass Market Retailers (la GDO in Italia)?
Per comprendere meglio la portata di ciò che è accaduto nell’arco degli ultimi 12 mesi nel mondo del web3 (ndr, la terza iterazione di Internet), basta fare una semplice ricerca sui motori di ricerca per rendersi immediatamente conto che diversi grandi marchi internazionali, tra cui i più noti marchi del lusso e della moda, hanno già fatto passi importanti.
Tra i tanti brands che si sono avvicinati al web3, ne troviamo alcuni che si sono mossi in modo ‘esplorativo’, ovvero al fine di comprendere le potenzialità del web3, tra cui modalità di interazione coi consumatori, community building ed engagement; alcuni invece, pochissimi per la verità, si sono mossi in modo fragoroso, allocando investimenti alla portata di pochi.
Se alcune (e molto costose) iniziative posso sembrare per certi versi delle sperimentazioni, come ad esempio gli store virtuali di Hugo Boss, dove è possibile personalizzare il proprio avatar come un ‘digital twin’, per indossare dei metadresses (acquistabili poi in IRL – in real life – dal vero), altri brands hanno effettuato investimenti che lasciano sbalorditi per portata e tempistica, soprattutto alla luce di un momento così difficile per l’economia globale.
Ma cosa si intende per bridging?
Se siete avvezzi a LinkedIN o Twitter, tra le altre colorite espressioni che denotano il mondo web3, vi sarete probabilmente imbattuti nell’espressione LFB (let’s f…ing build);
per building, si intende non solo programmare in senso stresso, ma anche fare networking, ovvero condividere, spesso pro-bono, idee con altri web3 fellows, magari in community identitarie come le DAO (decentralised autonomous organisations).
Bridging viene dopo il building.
Bridging in questo contesto è il collegamento tra il web2 con il web3 ed è finalizzato allo spillover – riversamento – di utenti e consumatori da piattaforme web2 tradizionali, come i social networks, versoambienti immersivi come il metaverso attuando modalità sperimentali di engagement con lo shopper.
Un esempio, sono gli NFT legati ad utility ben specifiche che il consumatore può usare in modo cross-over ovvero in ambienti diversi (ndr metaverso – web2 – instore).
Alcuni esempi?
Partendo dall’analisi condotta su Dune, dove sono stati estratti i dati on-chain da Ethereum, osservando volumi, transazioni, metriche relativamente alle vendite primarie e le royalties generate su mercato secondario di branded NFT (https://dune.com/kingjames23/nft-project-possible-data-to-use), si può dedurre che le attivazioni di nuovi utenti (o wallet) siano piuttosto contenute (circa il 20%) rispetto a quei wallet su cui sono state fatte già transazioni (ndr utenti già attivati).
Lo spillover si può considerare quindi ancora in fase iniziale?
Se lo si guarda da questa angolazione è più che probabile.
Se lo si guarda invece, in modo più ‘olistico’, si può capire che si sta tracciando una rotta.
Le tre iniziative diverse tra loro, sotto riportate, sono solo una frazione di quello che ormai succede quotidianamente ma offrono una visione di diverse strategie, tutte basate sul bridging.
1. Gucci.
La Maison di moda accetta pagamenti in criptovaluta nei negozi Americani. Pur non essendo il primo, tantomeno l’ultimo players ad accettare pagamenti in BTC e altre criptovalute, una buona parte della community web3 ha valutato molto positivamente l’iniziativa lanciata dalla ex casa fiorentina sul metaverso.
Gucci, siglando una partnership con la piattaforma di gaming Roblox, ha creato Gucci Garden (https://www.gucci.com/us/en/st/stories/article/gucci-gaming-roblox) il primo store su metaverso che celebra la creatività dell’atelier.
2. Nike.
Pare che Nike abbia guadagnato oltre 185 Milioni di USD dagli NFT accendendo un dibattito sulle reali cifre afferenti le primary sales (ovvero gli acquisti totali di coloro che hanno acquistato l’NFT in fase di drop) e le royalties derivanti dalla vendita degli stessi NFT su mercato secondario.
Anche Nike ha poi ufficializzato il proprio ingresso sul metaverso, facendolo a suon di budget.
Per lanciare Nikeland, sempre su Roblox come Gucci, il brand americano ha acquisito lo studio di design RTFKT per 1 bilione di dollari (sì, 1 BN), ha chiuso una partnership con il rapper Drake per attirare audience GenZ e allocato milioni per campagne di advertising su Instagram e Facebook.
I risultati, stando al Chief Metaverse Officer di Nike, sarebbero eccellenti: 7 milioni di utenti in pochi mesi.
Ref: https://www.inputmag.com/style/nike-most-revenue-nft-sales-list
Per comprendere bene lo sforzo economico di Nike su Nikeland, l’amico Theo ha scritto questo eccellente articolo:
https://medium.com/@theo/why-nikeland-is-not-the-metaverse-success-story-you-think-it-is-46742dc2f231
3. Starbucks.
Più recentemente avrete sentito parlare di Starbuck Odissey.
Per farla semplice: Starbuck premia i consumatori che raccolgono punti (stamps) sotto forma di NFT collezionabili. Gli stessi NFT, oltre ad avere dei punteggi relativi alla ‘rarità’, quindi poter essere venduti nel loro mercato secondario, potranno dare diritto a delle esperienze (come una masterclass virtuale su come fare un espresso).
Per chi fosse interessato maggiormente suggerisco di seguire il podcast settimanale degli amici Ely Santos e Filippo Chisari sulle novità di brands che entrano nel web3 (https://www.linkedin.com/events/brandsinweb3-aweeklynewsroundup6977601303510179840/comments/)
oppure leggersi questo blog (https://crowdcreate.us/overview-of-large-companies-jumping-into-web3-nfts/)
Fatta la dovuta introduzione, quali sono le opportunità per i Mass Retailers (o Grande distribuzione)?
Non potendo qui fare una distinzione per geografie, per dovere di sintesi, si ritiene a ragion veduta che il primo canale che dovrebbe accelerare verso la terza iterazione di Internet (dovrebbe chiamarsi web3.0, ma web3 è il termine marketing coniato da un VC della Sylicon Valley) è l’e-commerce.
Sappiamo che il canale ha avuto una fortissima accelerazione a causa degli effetti della pandemia; ciononostante, anche a distanza di qualche mese, l’e-commerce è stato adottato in modo quasi definitivo anche da generazioni più riluttanti.
E’ plausibile che saranno proprio questi i primi touchpoints ad essere integrati con esperienze su web3; questo va oltre alla sola accettazione di criptovaluta nei gateway di pagamento (come ad esempio fa Moonpay negli Stati Uniti), come per altro fanno già alcune compagnie aeree sugli acquisti in-flight (es. Ryanair).
E’ probabile inoltre che saranno gli stessi NFT quindi a garantire la convergenza tra brands (che come abbiamo visto si stanno equipaggiando) e Mass-Retailers, supportando iniziative cross-over tra instore, web2 e web3. Basti pensare al token-gating (https://coinmetro.com/blog/what-is-token-gating/) ovvero la possibilità di offrire ad alcuni NFT holders alcuni privilegi particolari (% sconto, partecipazioni ad esperienze phygital e molto ancora).
Stanno già emergendo i primi di shopping mall immersivi su metaverso (Mallconomy, Galaxy Arena ed altre), le cui venue virtuali possono ospitare non solo store virtuali di Brands, ma anche eventi. Saranno proprio questi i primi players a venire acquisiti dai Mass-Retailers tradizionali?
O saranno gli stessi Mass-Retailers a creare mall su metaverso (ps. Tesco sta lavorando già a qualcosa…).
E come si adeguerà il drive-to-store? O sarà proprio il drive-to-store a spingere i Mass-Retailers nella direzione che i consumatori chiederanno in un futuro prossimo?In Italia abbiamo la fortuna di avere alcune tra le più forti scaleups del settore, come Shopfully, che hanno consentito di chiudere un primo digital gap tra consumers, web2 e instore.
Se i consumatori spingeranno, come plausibile, per l’adozione di pagamenti in criptovaluta e gli NFT si legheranno sempre più al concetto di utility, il drive-to-store sarà il mezzo per fare bridging.
Un ultimo pensiero.
Il ‘non-lieu’ coniato da Marc Auge, ovvero il non-luogo, lo spazio fisico in cui, per gli effetti della sua natura transitoria, rende la presenza delle persone anonima (shopping mall per definizione) è un concetto non applicabile sul metaverso. Ne ho parlato in un post qui:
https://www.linkedin.com/posts/alessandrovene_metaverse-web3-retailers-activity-6980637062148337664-6x-g?utm_source=share&utm_medium=member_desktop
Se da una parte il metaverso soffre di persistenza, ovvero la durata in cui un utente permane nello spazio, i brand hanno lanciato proprio la sfida e rendere questo spazio virtuale utile, non futile.
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