A cura di:
Dane Marciano, CEO di Affidaty S.p.A
Giovanni Capaccioli, R&D di Affidaty S.p.A
Legalità:
Spesso ci fermiamo alle considerazioni di base, analizzando la blockchain, per estrapolarne i possibili pregi da applicare al nostro campo lavorativo di pertinenza. A volte non consideriamo dei dettagli che possono sembrare futili, ma che poi si manifestano “di interesse”.
Pensiamo ad una cosa: le blockchain maggiormente conosciute, ad oggi, si basano su processi automatici volti a garantire le parti; questi processi vengono automatizzati da smart-contract che accettano solo evidenze a saldo positivo. Questo significa che, per effettuare pagamenti all’interno dei circuiti distribuiti e decentralizzati pubblici, occorre avere un Wallet in positivo dove vengono depositati i Cryptocurrency con i quali effettuare pagamenti verso i minatori.
Questo vuol dire che, qualora un’azienda fosse interessata a procedere con l’integrazione di una infrastruttura per la certificazione in blockchain, questa dovrebbe possedere un conto in criptovaluta in una delle blockchain maggiormente usate nel settore.
Fin qui potrebbe sembrare non esserci nessun problema. Il problema purtroppo c’è poiché attualmente non è presente una normativa di valore legale che tuteli un’azienda che voglia possedere un conto in criptomoneta. Non è così ovunque nel mondo, ma semplicemente nella stragrande maggioranza degli Stati, ad eccezione della Svizzera e di Malta nelle nostre immediate vicinanze.
Il problema del valore legale è una questione molto delicata, per giunta nei casi di introduzione di nuove metodologie, nuove tecnologie in uno Stato o Continente. Attualmente alcuni Stati, tra i quali quelli citati prima, si sono già mossi per colmare le naturali lacune in materia di blockchain legal, ecco perché nei loro territori di competenza la questione illegalità è molto circoscritta, quindi velocemente verificabile per un’azienda.
La cosa cambia all’interno di altri Stati o dei confini europei: essendo una tecnologia sviluppatasi enormemente solo di recente, si muove all’interno delle conseguenti lacune normative-legislative che dettano il valore legale in merito. Inoltre, soprattutto nel caso di quest’ultime, la giurisdizione utilizza sovente il principio dell’“analogia”, secondo il quale viene dato (dal giudice o dalla Corte) un giudizio obiettivo al caso espresso, intervenendo in modo deduttivo basandosi su una diversa disciplina, ma già normata, ritenuta analoga, o desumendo tramite principi generali dell’ordinamento.
Questi sono concetti di fondamentale importanza per un’azienda poiché, se non approcciati con la dovuta precisione rischiano di costare molto all’azienda stessa in quantità di tempo impiegato o capitali immobilizzati in strumenti dichiarati illegittimi “ex-post” o dei quali è stata poi dichiarata l’illegittimità di un preciso uso.
Ecco che diviene ben chiaro il problema che si propone in un ambito ben più esteso del classico ecosistema utente: il valore legale Per un’azienda diventa difficile, quindi, operare legalmente con questa tecnologia. La conseguenza diretta è che tutto il sistema, così presentato ed usato, non è più così facile e privo di rischi come sembra.
Questo non vuol dire certo che la tecnologia blockchain non possa essere applicata all’ambiente Azienda; il concetto rimane e rimarrà sempre lo stesso: la differenza tra utile o non utile, legale o non legale, performante o non performante, non lo fa tanto la tecnologia blockchain in sé, bensì il come essa viene applicata all’ecosistema di riferimento. Non si può certo giudicare un pesce da come corre i 100 metri; ciascuno strumento deve essere settato nel miglior modo possibile in relazione al settore lavorativo nel quale poi impatterà.